domenica 26 novembre 2023

Cena sociale


Il 24 Novembre scorso abbiamo celebrato la conclusione delle nostre attività per quest'anno, anno in cui siamo riusciti ad organizzare due concerti jazz e un incontro d'autore. 
Lo abbiamo fatto con una cena a cui hanno partecipato soci, familiari e amici dei soci e nuovi sostenitori.
Abbiamo cercato di dare il meglio di noi proponendo, oltre ad un menù a base di polenta e crescentine, un momento di riflessione sulla pace, che sembra diventato un concetto estraneo a questi tempi disgraziati, e celebrando con un po' di anticipo la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne che ricorre il 25 Novembre:

Il nostro presidente Efrem Puccini ha preso la parola per primo: 

"Buonasera a tutti e grazie per aver accolto il nostro invito. Poche parole per dare un significato a questo incontro. 
Prima però vorrei rivolgere un pensiero ad un nostro carissimo amico che ci ha lasciato, Alberto Mucciarini, e dare un abbraccio affettuoso a sua moglie Viviana, nostra valida collaboratrice.
E ora veniamo a noi, alla nostra serata e ai nostri obiettivi.
Molti anni fa, negli anni trenta, Bertolt Brecht scrisse un poema intitolato "A quelli che verranno" che cominciava con le parole "Davvero viviamo in tempi oscuri". Viviamo anche noi in tempi oscuri, forse addirittura più oscuri di quelli di Bertolt Brecht. La guerra con tutti i suoi orrori bussa alle nostre porte, ci sentiamo impotenti e abbiamo paura, una paura che ci può immobilizzare la mente.
E allora come possiamo mantenere uno spazio di azione e di pensiero in questi tempi? Come preservare l’umanità in noi? Come non lasciarci distruggere? In qualsiasi situazione possiamo sempre fare qualcosa. Ad esempio possiamo aprirci alle domande, anche se non tutte hanno una risposta immediata. Domande che possono aiutarci a guardare la storia con spirito di ricerca, che possono spingerci a documentarci di più e meglio, a mettere in moto il pensiero, a discutere insieme agli altri per imparare un’arte preziosa: quella del dialogo. Perché è solo con il dialogo che possiamo capire il valore delle nostre idee e ritrovare il significato di fare la propria parte. 
E noi, proprio per accendere una piccola luce in questo buio che ci circonda, vogliamo parlare di pace. Parlare di pace è parlare alle persone, agli uomini, alle donne e ai bambini che in tutto il mondo aspettano parole e azioni per cambiare questa realtà, con la forza dell’amore e della nonviolenza. Vogliamo fare la nostra parte, quello che è nelle nostre possibilità per riportare un equilibrio rispetto alle gravi disparità che vedono un mondo sempre più attaccato agli egoismi di un “io” dispotico. Non possiamo fare molto, ma non vogliamo nemmeno arrenderci a quel senso di impotenza che ci spinge a rinchiuderci nel silenzio. Vogliamo stare insieme, ritrovare quel significato che la parola “noi” sembra aver perso in termini di comunanza e solidarietà. Vogliamo fare di quel “noi” un mezzo di ascolto e di accoglienza.
Il Collettivo Frignano Extra è nato con questo intento: stare insieme per comunicare e sensibilizzare. Non importa se siamo una goccia nell’oceano, l’importante è fare. E noi qualcosa abbiamo fatto, anche grazie al vostro sostegno che speriamo continui . Nel corso di quest’anno siamo stati insieme in tre occasioni: due concerti jazz e un incontro d’autore con il filosofo Lorenzo Barani e la vostra partecipazione è stata gratificante. Crediamo di essere sulla strada giusta e vogliamo continuare. Non abbiamo ancora un calendario delle prossime iniziative ma vi posso anticipare che, se tutto va a buon fine, nei primi mesi del 2024 parleremo di immigrazione, un tema importante, tanto quanto tantissimi altri che meriterebbero tutti il primo posto, ma possiamo affrontarne uno alla volta. In seguito vedremo di spaziare.
Per ora mi sento di ringraziarvi per il vostro sostegno e partecipazione, ne abbiamo bisogno e ne avremo ancora bisogno per il futuro e, a questo proposito, vi ricordo che il tesseramento per il 2024 è già iniziato. Se siete d’accordo con quello che facciamo, restate con noi e dimostratecelo."


Poi è stata la volta delle donne del Collettivo: Gianna, Marinella e Marisa che insieme hanno continuato: 

"Vi rubiamo qualche momento anche noi per ricordare una data importante: domani 25 novembre sarà la giornata internazionale per l’eliminazione  della violenza contro le donne. 
Credo che la maggioranza delle donne abbia subito una qualche forma di sopraffazione da parte di un uomo. E sono anche sicura che, da un certo momento in poi, per un motivo o per un altro, molte abbiano cominciato a guardarsi alle spalle con la paura di scorgere  un’ombra minacciosa, vicina o lontana, o semplicemente a stare sulla difensiva pensando a cosa nascondono certe richieste oppure osteggiate da un sistema sociale in cui gli uomini fanno un uso improprio del loro presunto potere. Questa paura e questa diffidenza non può e non deve essere una costante nella vita di nessuno.
Questa sera il Collettivo, senza entrare nelle polemiche e nel fiume di opinioni di questi giorni, vuole fare una piccola riflessione su questa questione che è diventata a tutti gli effetti  una piaga sociale. Lo vogliamo fare senza calcare la mano sui  numeri impressionanti e purtroppo reali che ogni giorno ci tocca sentire e senza esacerbare la drammaticità della situazione di cui tutti siamo coscienti. 
Lo faremo con un po’ di ironia, soffermandoci solo su di un piccolo aspetto che può sembrare insignificante ma non lo è, è solo uno dei tanti che odorano di discriminazione. 
Vi leggeremo  un piccolo monologo, scritto da un uomo tra l’altro, Stefano Bartezzaghi, giornalista e semiologo, che una bravissima attrice, Paola Cortellesi, ora anche acclamata regista, ha recitato alla premiazione dei David di Donatello nel 2008 e che dimostra come anche l’universo linguistico, come se non bastasse tutto il resto, sia organizzato attorno all’uomo e continui a stereotipare e a ridurre il ruolo delle donne. Sono solo parole, ma le parole hanno un gran peso psicologico, sociale e culturale.

«È impressionante vedere come nella nostra lingua alcuni termini che al maschile hanno il loro legittimo significato, se declinati al femminile assumono improvvisamente un altro senso, cambiano radicalmente, diventano un luogo comune, un luogo comune un po’ equivoco che poi a guardar bene è sempre lo stesso, ovvero un lieve ammiccamento verso la prostituzione.
Vi faccio degli esempi.
Un cortigiano: un uomo che vive a corte; una cortigiana: una mignotta.
Un massaggiatore: un cinesiterapista; una massaggiatrice: una mignotta.
Un uomo di strada: un uomo del popolo; una donna di strada: una mignotta.
Un uomo disponibile: un uomo gentile e premuroso; una donna disponibile: una mignotta.
Un uomo allegro: un buontempone; una donna allegra: una mignotta.
Un gatto morto: un felino deceduto; una gatta morta, una mignotta.
Non voglio fare la donna che si lamenta e che recrimina, però anche nel lessico noi donne un po’ discriminate lo siamo.
Quel filino di discriminazione la avverto, magari sono io, ma lo avverto. Per fortuna sono soltanto parole. Se davvero le parole fossero la traduzione dei pensieri, un giorno potremmo sentire affermazioni che hanno dell’incredibile, frasi offensive e senza senso come queste. “Brava, sei una donna con le palle”, “Chissà che ha fatto quella per lavorare”, “Anche lei però, se va in giro vestita così”, “Dovresti essere contenta che ti guardano”, “Lascia stare sono cose da maschi”, “Te la sei cercata”.
Per fortuna sono soltanto parole ed è un sollievo sapere che tutto questo finora da noi non è mai accaduto.»


Non è mancata, a fine serata, la straordinaria performance del Duo Jamin-à che ci ha deliziato proponendoci uno spettacolo di canzoni di cantautori italiani e internazionali.

La serata è stata anche l'occasione per iniziare la campagna per il tesseramento 2024, anno in cui abbiamo già la conferma di un evento a cui teniamo molto: lo spettacolo teatrale di Giulio Cavalli "A casa loro"
Ma di questo parleremo più avanti, intanto ringraziamo tutti: soci, collaboratori e sponsor, per il sostegno che ci hanno dato in questo primo anno di attività in cui ci siamo trovati davanti qualche difficoltà ma anche tanta solidarietà. Speriamo in una continuità solidale e proficua anche per l'anno che verrà.
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sabato 9 settembre 2023

Continuiamo con la storia del blues.

 LA LEGGENDA DI ROBERT JOHNSON: ANIMA OSCURA DELLA CHITARRA BLUES.

Nella storia del blues il nome di Robert Johnson è importante perché si tratta del primo vero artista del blues. La vicenda del chitarrista blues Robert Johnson è densa di mistero, talmente accattivante che, anche se ha registrato solo ventinove brani lungo la sua breve carriera, è stato apprezzato e imitato da praticamente tutti i più importanti chitarristi del genere blues. Robert Johnson è morto a soli ventisette anni, ma la sua figura leggendaria è diventata un’icona nella storia della chitarra blues, soprattutto per la generazione dei chitarristi anni sessanta, primi tra tutti Eric Clapton e Keith Richards. Entrambi hanno infatti inciso brani cover o ispirati a Johnson, come Love in Vain o Crossroad, che sono diventati capisaldi del loro repertorio. La leggenda che vede protagonista Robert Johnson dice che, sparito dalla circolazione per due anni, tornò mostrando uno strabiliante miglioramento tecnico alla chitarra. Per questo fu accusato di aver stretto un patto con il demonio, e le tematiche agghiaccianti dei suoi testi non tendevano certo a minimizzare questa sua nomea. Incubi, cani infernali e incroci misteriosi sono un’espressione della sua anima oscura e blues per eccellenza, che hanno fatto camminare la sua storia, fino a consolidarlo nel mito della musica quale prototipo di musicista maledetto, che ben si accosta all’indole ribelle di molti giovani, soprattutto musicisti che l’hanno amato e continuano ad amarlo.

D’altro canto i suoi brani sono molto ben eseguiti e, nonostante le scarse tecniche d’incisione di quegli anni, conservano tuttora un grande fascino grazie alla musicalità avanzata, soprattutto nel connubio tra chitarra e voce, difficilmente raggiungibile anche oggi. Purtroppo Johnson ha registrato due sole volte, lasciando questo mondo molto presto a causa della gelosia di un proprietario di un locale, ma sulla sua morte ci sono parecchie ombre, persino sul posto dove sarebbe sepolto.

Nonostante tutto, molti dei suoi brani fanno parte del repertorio di gruppi e solisti del Blues, a cominciare da Terraplane Blues, Cross Road Blues, Sweet Home Chicago, I Belive I’ll Dust My Boom e Come on in my Kitchen, senza citare le sue canzoni più inquietanti, che nemmeno i suoi più fedeli ammiratori hanno suonato in pubblico volentieri.

Da: Mondo della Chitarra 



domenica 3 settembre 2023

This is blues!

Finito Agosto, finite le vacanze, finite le sagre di paese e di città, torniamo alla normalità e riprendiamo il nostro lavoro (si fa per dire 😀). E torniamo a parlare di musica, in particolare questa volta parliamo di blues. Il prossimo 15 settembre ascolteremo un bel concerto di blues. Sono due i gruppi che si esibiranno: i Road Hogs apriranno la serata e faranno da apripista ai The Black Sheep.  Abbiamo già provveduto a divulgare l'evento con tutti i mezzi possibili, quindi in questo spazio vorremmo dire qualcosa di più, scoprire questo genere musicale che affonda le sue radici nel tempo.

Per far questo dobbiamo avvalerci di chi ne sa più di noi ed essendo la rete il luogo deputato per la ricerca di informazioni, riportiamo qui un articolo fra tanti che sembra essere il più preciso ed esaustivo.

Da "la COOLtura": "Un viaggio alle origini della musica Blues".

"Nel tentativo di raccontare la storia attraverso la musica e la canzone, attraverso le parole, le sensazioni e gli stati d’animo che quelle parole possono rievocare nell’ascoltatore, il passaggio sulla musica Blues è forse un passaggio obbligato. Infatti il blues a differenza di qualsiasi altro genere musicale, non è solo musica e parole, ma è anche un decorso storico con una propria storia musicale; è un processo espressivo che parte dal Delta del Missisippi e giunge fino all’Europa; è un sistema simbolico ed espressivo oltre che un modello culturale al cui interno confluiscono riti e miti di un intero popolo.

Per capire bene il Blues e la sua storia, bisogna capire esattamente che cos’è il blues e soprattutto dove e quando il blues è nato.

L’unica informazione certa sulle origini del blues riguarda il popolo che ha creato questa forma di espressione musicale: il popolo afroamericano, formato da schiavi ed ex schiavi. Il contesto storico in cui questo genere musicale sarebbe affiorato può essere collocato nello spazio e nel tempo lungo il Delta del fiume Missisippi e sul finire del XIX secolo, molto probabilmente negli anni che seguirono la guerra di secessione americana. Le prime registrazioni di musica Blues risalgono agli anni venti del secolo successivo, ma andiamo con ordine.

Non sappiamo esattamente dove e quando sia effettivamente nato il Blues. Sappiamo che agli inizi del 1900 si utilizzava il termine Blues, la cui origine è molto probabilmente derivata dall’espressione “to have the blue devil” utilizzata fin dal XVI secolo per indicare uno stato mentale incline alla malinconia. Ed essendo la malinconia una componente molto importante, per non dire centrale del blues, è molto probabile che qualcuno abbia adottato questo termine per descrivere quelle sonorità che fino a quel momento non avevano un etichetta di genere.

La malinconia espressa nel blues non è certo la malinconia di chi ha avuto una giornata storta, ma è qualcosa di molto più antico e molto più profondo e che penetra fin nel profondo dell’animo umano. Si tratta di una malinconia derivata dall’angoscia di un popolo oppresso, formato da schiavi e successivamente da ex schiavi, separati contro la loro volontà dalla propria terra e dalle proprie famiglie; costretti a subire abusi e soprusi, costretti a vivere in schiavitù e una volta uomini emancipati, per molti di loro, libertà significò continuare a lavorare per gli ex padroni, facendo i conti con discriminazione e segregazione.

Il Blues è l’angoscia di un popolo in transizione, che dopo un esodo si adatta alla propria nuova terra, condivisa con altri popoli e costretti a vivere in una nuova cultura in cui quel popolo è stato catapultato. Questo tuttavia non implica una rinuncia alla propria cultura d’origine, quella africana; non implica una rinuncia al proprio sistema di propri valori, alle proprie pratiche sociali e religiose. Al contrario, ne crea di nuove, integrando la propria cultura originale con quella del luogo in cui sono stati catapultati. Da questa miscela di culture sarebbero nati non pochi attriti, ma anche uno dei generi musicali più espressivi esistenti.

Vi è quindi un’origine africana del blues, sebbene non sia effettivamente l’Africa il luogo in cui il blues è nato. Tuttavia grazie al ricordo della terra d’origine e grazie al ricordo delle sue musiche ed i suoi ritmi, tramandati di madre in figlio per intere generazioni vissute nelle piantagioni, è giunta fino al XIX secolo creando le premesse stilistiche del blues. La sua forma originale a noi è sconosciuta poiché le prime registrazioni risalgono agli anni venti, ma di questa ci sono pervenute non poche testimonianze che convergono nel descriverlo uno stile primitivo e rudimentale altamente malinconico ed espressivo.

La prima registrazione blues di cui si abbia traccia è il disco Crazy Blues, realizzato da Maime Smith e pubblicato dalla OKeh records nell’agosto del 1920. Possiamo però affermare con certezza che, sebbene Maime Smith non abbia inventato il Blues, fu grazie a lei che il blues divenne in un certo senso un fenomeno di massa tale da catturare l’attenzione dell’industria musicale e dei bianchi. Infatti fino al 1920 il blues era esclusivamente musica nera, e lo sarebbe rimasto ancora per diversi decenni, suonata dagli afroamericani per se stessi e per chi li ascoltava.

Dopo la pubblicazione di Crazy Blues invece, questo genere musicale si diffuse a macchia d’olio nell’intero paese, registrando diverse centinaia di migliaia di copie vendute. Il successo inaspettato di M. Smith è dovuto molto probabilmente alla vasta distribuzione della popolazione afroamericana in tutti gli stati uniti e alla preesistente cultura blues.

Il fatto che Crazy Blues sia il primo disco blues registrato tuttavia non ci dice nulla sul luogo di origine della musica blues. Infatti la sua storia nasce molto tempo prima: ecco perché è fondamentale andare più indietro nel tempo.

Una delle prime e più celebri testimonianze riguardanti la musica blues prima del 1920 ci arriva da W.C. Handy, considerato da molti come uno dei padri del blues. Handy era un musicista, un trombettista, trasferitosi a Clarcksdale nel Mississippi per diventare direttore di un orchestrina locale, e questo trasferimento lo avrebbe messo in contatto con quel sound che avrebbe cambiato radicalmente la sua vita.

Nella sua autobiografia Handy racconta il suo primo incontro con la musica blues. Ci parla di una sera in cui, tornando a casa, si ritrovò bloccato nella stazione di Tutwiler, dove aspettava un treno in ritardo di circa nove ore. Mentre era lì, racconta di essersi addormentato e di essere stato svegliato dal suono di una chitarra; il suono che sentì viene descritto come un suono molto strano, il più strano che avesse mai sentito.

L’uomo che suonava quella musica era un afroamericano e accompagnava quella strana musica con dei versi che si ripetevano per tre volte a cui faceva seguito una sorta di risposta della chitarra. Il suono emesso dalla chitarra era “molto umano e triste”. Questa particolare sonorità era data dalla punta di coltello che veniva usata per far vibrare le corde, nello stesso modo con cui i musicisti hawaiani suonano i loro ukulele, emettendo tuttavia un suono, anzi un sound, totalmente differente.

Nei suoi tre versi, l’uomo ripeteva la frase “goin’ where the Southern cross the Dog”. Handy racconta di non aver compreso immediatamente il significato di quei versi e di aver chiesto delucidazioni all’uomo. Costui rispose soltanto con un sorriso. Successivamente seppe che la destinazione di quell’uomo era Moorehead, una località in cui si incontrano due linee ferroviarie, la Southern e la Yazoo & Mississippi Valley, da tutti chiamata “the Yellow Dog”. Fu così che capì che l’uomo stava semplicemente cantando la sua attesa del treno per Moorehead, e nel farlo improvvisava una strana musica.

Qualche settimana più tardi Handy, sempre nella sua autobiografia, racconta di aver ascoltato per la prima volta una blues band in azione che, su richiesta del pubblico si alternava alla sua orchestra e al termine dell’esecuzione. Secondo il racconto di Handy, i trio di musicisti blues fu sommerso da una cascata di monete. Questo aneddoto molto celebre della vita di W.C. Handy racconta un passaggio fondamentale per la sua carriera artistica, che da quel momento in poi avrebbe subito una svolta radicale; ciò permise al musicista di comprendere “la bellezza di quella musica primitiva” di cui sarebbe diventato presto un compositore tra i più celebri e importanti, al punto da essere definito “il padre del blues”.

Risalenti allo stesso periodo della testimonianza di Handy ci sono numerose altre testimonianze, una in particolare venne pubblicata sul “the Journal of American Folklore”.

Questa testimonianza, a differenza della precedente, non ci giunge da un musicista, ma da un archeologo chiamato Charles Peabody. Egli nel 1903 fu inviato dalla Harvard University a compiere una serie di scavi nei pressi della piantagione Stovall, nella contea di Coahoma (non troppo lontana da Clarcksdale). Durante lo scavo, Peabody fu colpito dal fatto che gli operai assunti per lo scavo, prevalentemente uomini di colore, accompagnavano il loro lavoro eseguendo alcuni canti. Questi erano particolarmente ritmici e totalmente improvvisati, in cui fraseggiavano versi di carattere generale e che venivano intonati su una melodia più o meno vaga; i versi si ripetevano secondo quello che sembrava uno schema preciso.

La particolarità dell’evento colpì l’archeologo al punto da spingerlo a trascrivere alcune di quelle strofe e, ad oggi, quelle trascrizioni rappresentano una delle più antiche trasposizioni scritte di musica blues delle origini.

Nell’articolo pubblicato sul Journal of American Folklore si ipotizza che questa pratica fosse un eredità del lavoro svolto dagli schiavi nelle piantagioni. Sebbene nel 1903 quel canto fu descritto come musica blues, ai tempi del lavoro nelle piantagioni questo termine non era ancora in uso e quei canti erano indicati molto probabilmente come canti da lavoro, utilizzati per scandire il ritmo dei lavoratori.

Una terza testimonianza ci giunge da Gertrude “Ma” Rainey, una delle cantanti blues più importanti della storia. Rainey racconta di essere entrata in contatto con il blues nel 1902, mentre si trovava in Missouri con i Rabbit Foot Mistrels. Durante la loro permanenza in Mississippi Rainey ascoltò un brano che successivamente decise di inserire nel proprio repertorio e quando qualcuno le chiedeva che musica fosse, era solita rispondere “this is blues!”.

Vi sono poi innumerevoli altre testimonianze, che collocano il blues delle origini lungo il delta del Mississippi e ovunque vi fosse una qualche comunità di afroamericani ed ex schiavi. In questo senso è particolarmente interessante la testimonianza di Bunk Johnson, uno dei primi Jazzisti, in attività tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX. Egli ricorda di aver ascoltato per la prima volta la il blues quando era poco più che un ragazzo, intorno al 1880, quando era il pianista di Eubie Blake. La particolarità della testimonianza di Johnson è che il suo primo incontro con il blues avvenne a Baltimora, a molte miglia di distanza delta del Mississippi.

Conclusioni.

Trovare una data e un luogo esatto in cui collocare effettivamente la nascita del blues probabilmente è impossibile. Di certo le sue radici sono ben salde nella cultura afroamericana della seconda metà del XIX secolo. Ovvero in quel mondo fatto di ex schiavi, che avevano ancora ben salda nella memoria il ricordo della vita in catene nelle piantagioni. Prima d’allora, il blues aleggiava sulle piantagioni di zucchero o di cotone nel sud degli Stati Uniti, probabilmente con un nome diverso, probabilmente senza nome".

 

Un altro bel contributo si può trovare su Onda Rock.

Naturalmente la musica si evolve e nel tempo il blues ha dato vita al Rhythm 'n Blues e al più famoso Rock 'n Roll. 


Se non conosci il blues, non ha alcun senso prendere in mano una chitarra e suonare rock and roll o qualsiasi altra forma di musica popolare
(Keith Richards)

Adesso che abbiamo saputo qualcosa di più su questo genere musicale che ha radici così profonde non ci resta che ascoltare dal vivo chi questa musica la suona. 

        Quindi vi aspettiamo venerdì 15 Settembre alle ore 21 al Paradiso dei Pini,                     a Pavullo nel Frignano.

martedì 25 luglio 2023

Incontro d'autore.

L'incontro d'autore del 16 Luglio con il filosofo Lorenzo Barani è andato meglio di quanto previsto. Non ci aspettavamo molta partecipazione visto il periodo estivo ricchissimo di iniziative in ogni dove. E invece i nostri sostenitori, vecchi e nuovi, ci hanno seguito anche in montagna, in una borgata un po' fuori mano, in una giornata caldissima che spingeva a trovare refrigerio.

Lorenzo Barani ci ha tenuti incollati alle sue parole con un eloquio pacato e stimolante e il suo divagare fra letteratura e metafore ha raggiunto l'obiettivo che lui stesso si era proposto: far pensare. Pensare a noi, ai nostri comportamenti, ad un modo di interpretare una realtà che è in continuo cambiamento.

Purtroppo non siamo in grado di proporre il suo intervento, il nostro bagaglio tecnologico è limitato e non siamo riusciti a fare un video decente. Lo abbiamo comunque condiviso sul nostro gruppo Facebook e sul nostro canale you tube e chi avrà coraggio e pazienza lo potrà visionare insieme a quello del nostro Presidente che ha declamato una poesia di Bukowski.

 

Il nostro prossimo obiettivo è una serata di musica blues. E' ancora tutto da definire ma contiamo di riuscire ad organizzarla verso la fine di Agosto. Mi raccomando: stay tuned!!

 

lunedì 3 luglio 2023

Incontri d'autore

 
Avevamo previsto una serata di musica blues come prossimo evento, ma gli impegni dei musicisti ci hanno costretto a posticiparla. Intanto però, per non perderci di vista, abbiamo in programma una bella giornata con un incontro molto interessante e coinvolgente. Una giornata in cui si parlerà, si declamerà, si mangerà e si ascolterà un po' di musica. Si starà insieme insomma.
Protagonista principale di questa giornata sarà Lorenzo Barani, filosofo teoretico che ha insegnato nei Licei Classici e Scientifici di Modena e ha tenuto, per conto di vari Assessorati alla Cultura di Modena e provincia, corsi sulla sapienza greca e seminari di filosofia, soprattutto contemporanea, riconosciuti come corsi di aggiornamento per insegnanti. 
Questo il tema dell'incontro: “Ereditiamo un presente in questione”, dall’Italia della Costituente all’Italia di Berlusconi.
Come luogo d'incontro abbiamo scelto una piccola frazione di Sestola (MO), un posto accogliente dove si respira aria di antica cultura e di libertà.
Vi aspettiamo. 

Queste sono due righe che Lorenzo Barani ha voluto mandarci per indicare l'osso del suo intervento: 
"Uno spettro s'aggira nel presente tingendo la vita di nero. Prende la forma della sindrome securitaria e diffonde la politica melanconica della paura, del muro e del confine. In nome della sicurezza sacrifica le forze affermative della vita".





martedì 6 giugno 2023

Il jazz è difficile. "È difficile fare bene qualsiasi cosa ma è altrettanto facile renderci la vita semplice se si è in grado di uscire dai binari della paura del nuovo e del luogo comune".


Visto che finora ci siamo occupati di jazz (ma prossimamente spazieremo) vorrei postare un pezzo scritto da Paolo Fresu tratto dal volume "Il pregiudizio universale: un catalogo d'autore di pregiudizi e luoghi comuni", uscito nel 2016. Il volume è interessante non solo per il pezzo in questione, ma anche perché ci sono vari autori che cercano di sfatare i tanti pregiudizi che accompagnano la nostra vita, tutte quelle cose che ognuno di noi crede di sapere non sulla base di una vera informazione, ma di una percezione più o meno passivamente condivisa.  

Ma a noi interessa il jazz, quindi ecco il pezzo, secondo me molto bello, ma da Paolo Fresu non mi aspettavo di meno: 

"Si potrebbe dire che il jazz è difficile come sono difficili tutte le cose belle e importanti in quanto queste richiedono passione, tempo, dedizione e conoscenza. Di certo è difficile apprenderlo e suonarlo. Perché non ha una partitura scritta ma un canovaccio che, partendo da una melodia e da una griglia armonica, si evolve grazie all'improvvisazione che richiede immaginazione e creatività. E l'improvvisazione, a dispetto della parola, non si inventa e anzi si struttura in modo rigoroso e si apprende attraverso un metodo e un percorso che, a volte, può essere lungo e articolato.

S’inizia dagli ascolti sui dischi per arrivare a trasferire il linguaggio su uno strumento musicale. Partendo da Bix Beiderbecke e Louis Armstrong e navigando fino al contemporaneo è possibile percepire tutte le novità di un Novecento grazie alla quali il jazz è nato e si è evoluto con la velocità del secolo appena trascorso. Jazz che racconta e fotografa un secolo complesso ma affascinante. Fatto di scoperte e di conquiste. Di lotte razziali nonché di incontri e di scontri tra razze e geografie. È un linguaggio che in alcuni momenti è stato ostico e dissonante quanto lo sono stati i suoni delle grandi metropoli americane come Chicago o New York negli anni Quaranta e quanto lo è stato quel manifesto del free jazz inventato da uno strano signore californiano che era Ornette Coleman, con un bizzarro sax bianco, un violino, una tromba e una serie di giacche dai colori sgargianti.

La complessità del jazz dunque è intrinseca nell’urgenza espressiva del racconto che lo giustifica. Un racconto duro e a volte violento quello degli anni Quaranta e Cinquanta, quando questo doveva esprimere lo stato d’animo dei neri sopraffatti dai bianchi e l’evoluzione di una civiltà industriale che cresceva a ritmi vertiginosi. La stessa che ha dato vita a questa musica e dove il primo disco di jazz è stato registrato da Nick La Rocca, un bianco proveniente da una famiglia di Salaparuta, piccolo paese della Sicilia. La migrazione dei pensieri che passa da Ellis Island e che approda ai suoni meticciati dei bianchi provenienti dall’Europa e dei neri dall’Africa tribale.

Se il jazz è difficile dunque è perché ha raccontato la storia di un secolo altrettanto difficile e complesso testimoniandone l’evoluzione, le lotte e le passioni. Lotte e passioni che erano degli afroamericani del sud dell’America e del blues, la loro lingua. Non è stato difficile per loro raccontarsi con una chitarra salendo sui treni verso le città della speranza, ma invece è stato semplice salire sui palchi delle sale da ballo dell’era swing prima e su quelli dei jazz club newyorkesi dopo. Facile essere star sulla 52nd Street e difficile entrare dalla porta principale quando i neri, anche Charlie Parker e Miles Davis, dovevano entrare dalle cucine.

Il jazz diviene facile quando è nelle. mani di artisti geniali come Duke Ellington, Charlie Mingus o Bill Evans. Perché il loro immaginario è stato così ricco da avere generato una musica nuova spessa quanto la loro vita. Una vita spesso difficile e maledetta per un linguaggio che in poco tempo ha rivoluzionato tutta la cultura musicale del secolo scorso influenzando i compositori della musica classica e flirtando con il rock, il pop e le musiche del mondo. Il jazz è facile perché spugnoso e altrettanto facilmente capace di tendere la mano alle altre musiche con una capacità di ascolto, di interazione e integrazione che difficilmente posseggono gli altri idiomi. È questa curiosità e apertura che ne fa un linguaggio indefinibile e difficilmente riconducibile a un unico stile. Stili diversi e suoni diversi per altrettanti momenti storici ed estetici che fanno di questa parola di sole quattro lettere (pare sia impossibile risalire all’origine etimologica) un vasto mondo nel quale ognuno di noi può trovare ciò che ama e ciò che lo affascina.

E se è ostico il free jazz in quanto musica di rottura è altrettanto facile lo swing o un certo jazz vocale che viene dal grande repertorio americano dei songbook di Broadway o delle musiche per il cinema compresi i brani per i bambini. Due fra tutti: My Favorite Things e Someday My Prince Will Come grazie alle interpretazioni memorabili di John Coltrane e Miles Davis. E se questi grandi improvvisatori hanno riproposto temi popolari alterandone le strutture armoniche e a volte modificandone il beat, in altre occasioni hanno suonato o cantato melodie che oggi appartengono al mondo come What a Wonderful World grazie alla voce roca e inconfondibile di “Satchmo” o Summertime di George Gershwin magistralmente interpretata da Ella Fitzgerald o da Davis in quella splendida partitura vestita per lui da Gil Evans, arrangiatore bianco che negli anni Ottanta incontrò Sting sul palco di Umbria Jazz.

Ed è proprio Miles, il “Principe delle tenebre”, a dimostrare quanto il jazz sia facile andando incontro al pubblico con la rielaborazione di melodie provenienti dal pop e dal rock di Cindy Lauper, Michael Jackson o i Toto.

Ha una lunga storia questa musica. Una storia affascinante che solo se vissuta e ricostruita pazientemente rende l’idea di ciò che è stata e di ciò che oggi porta in dote verso il futuro per la sua vocazione antonomastica alla metamorfosi. Era la musica del popolo ai primi del Novecento e oggi ritrova quella matrice popolare di cento anni fa grazie anche agli artisti italiani che sposano il jazz con la canzone napoletana, l’opera o il Mediterraneo. Puccini diventa un nuovo Cole Porter e un ballo sardo è il pretesto per unire mondi solo apparentemente distanti. Ecco perché il jazz è facile nonostante possa sembrare difficile. Perché basta conoscerlo per apprezzarne le sue diversità scoprendo che c’è n’è uno per ogni gusto e che questo supera le mode e diventa una passione emozionante che ci fa ridere e piangere, battere il piede a tempo, schioccare le dita o barcollare al ritmo dello swing. Cosa c’è di più naturale e di più semplice che il lasciarsi andare al ritmo del corpo? È difficile fare bene qualsiasi cosa ma è altrettanto facile renderci la vita semplice se si è in grado di uscire dai binari della paura del nuovo e del luogo comune".